Negli ultimi anni, l’interesse verso Marte è cresciuto a dismisura, soprattutto grazie a indizi sempre più suggestivi riguardo alla comparsa momentanea di acqua liquida. Un gruppo di studiosi italiani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha analizzato in profondità alcune strutture geologiche marziane, ipotizzando la presenza di acqua in condizioni ambientali decisamente estreme.
Queste ricerche, fondate su osservazioni compiute dalla sonda statunitense Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) e dalla sua fotocamera HiRISE, rinnovano l’entusiasmo verso futuri studi sui paesaggi extraterrestri.
Osservazioni innovative sui calanchi marziani
L’elemento più singolare dello scenario analizzato è rappresentato dai “gullies”, cioè canali che solcano certe dune del cratere Russell. A differenza di altre formazioni simili studiate in precedenza, alcuni di questi canaloni (definiti lineari) suggerirebbero la comparsa fugace di acqua allo stato liquido durante una specifica finestra stagionale: i primi giorni della primavera marziana, quando raffiche di vento investono la sommità di queste dune.
Due scienziati italiani, Adriano Nardi e Antonio Piersanti, hanno condotto un’indagine sulla base di oltre cento immagini ad altissima risoluzione, riprese nell’arco di otto anni marziani (equivalenti a sedici anni sulla Terra).
Nardi ha sottolineato che la transizione dell’acqua da solida a vapore, fino a diventare liquida, potrebbe manifestarsi proprio in quelle aree rimaste in ombra, dove la brina troverebbe l’ambiente ideale per sciogliersi in modo temporaneo. Quando invece un canale è illuminato, l’acqua verrebbe rapidamente vaporizzata, scomparendo quasi all’istante.
Tecniche di analisi e luoghi chiave
Per arrivare a questa ipotesi, i ricercatori hanno impiegato la sonda Mars Reconnaissance Orbiter della NASA, attiva nell’orbita di Marte dal 2006 e dotata di strumenti capaci di mappare superfici e strutture geologiche con un dettaglio straordinario. L’attenzione si è concentrata in particolare sulla duna più estesa all’interno del cratere Russell, plasmata dai venti e oggetto di numerose rilevazioni.
Le osservazioni hanno evidenziato tracce di brina sulla sommità delle dune, mentre le ondulazioni laterali nei pendii mostrerebbero segni di umidità dove i canali restano meno esposti alla luce solare. Antonio Piersanti ha spiegato che, secondo i dati raccolti, la presenza di questo velo d’acqua sarebbe confermata dalla sua rapida evaporazione al passaggio in una zona più chiara e luminosa, lasciando così un’impronta sulla sabbia prima di disperdersi nell’atmosfera rarefatta di Marte.
Conseguenze per le future missioni spaziali
L’idea che si possa osservare acqua liquida, anche se per intervalli molto brevi, apre nuovi scenari per la pianificazione di missioni con equipaggio. Se fossero confermati i processi che generano acqua allo stato liquido, alcuni crateri come Russell, Kaiser o Korolev si rivelerebbero perfetti per studiare fenomeni biologici estremi. Qualunque traccia di vita microbica, infatti, troverebbe un ambiente unico per potersi sviluppare o, quantomeno, lasciare segni rilevabili da strumentazioni scientifiche avanzate.
I risultati di questo studio, pubblicati su “Geosciences” col titolo “Geomorphological Observations and Physical Hypotheses About Martian Dune Gullies”, segnano un passo in avanti nella conoscenza del Pianeta Rosso. La prospettiva di incontrare acqua liquida, pur se effimera, potrebbe influenzare la scelta dei punti di atterraggio o la stessa struttura delle missioni di esplorazione.
In un luogo dove le condizioni atmosferiche appaiono estremamente ostili, anche poche gocce d’acqua rappresentano un elemento significativo per la comunità scientifica e per chi sogna di toccare un giorno la superficie di Marte.